FORMAGGI DELLA SICILIA
Al progetto di narrazione collettiva Formaggio All’assaggio si unisce Marianna Pipi, che ci racconta i formaggi della Sicilia.
Marianna, siciliana appassionata di arte casearia, è laureanda in “Imprenditorialità e qualità dell’impresa agrozootecnica” e conta di iscriversi quanto prima al corso Onaf di primo livello.
Le abbiamo chiesto quali sono le sue preferenze in tema di formaggi, ed ecco le sue risposte.
– Qual è il formaggio della tua zona al quale sei più legata per motivi sentimentali e perché?
«Il formaggio della mia zona al quale sono molto legata è sicuramente il Caciocavallo Palermitano (detto anche Caciocavallo di Godrano). Quando ero piccola con i miei genitori andavamo sempre a Godrano, perché lì degli amici avevano un caseificio dove producevano per lo più il caciocavallo. Ricordo che entrare in quel caseificio era un’emozione davvero unica, oltre che una scusa per mangiare un po’ di nascosto».
– Quale formaggio preferisci mangiare “assoluto”? E quale preferisci usare nelle preparazioni gastronomiche?
«Amo tutti i tipi di formaggi, e questa domanda mi mette in difficoltà. È davvero difficile scegliere! Probabilmente però quello a cui mai rinuncerei è il Grana Padano. Pur non essendo tipico della mia regione, è un prodotto che non manca mai sulla mia tavola e nel mio frigorifero».
FORMAGGI DELLA SICILIA
di Marianna Pipi
A Federico II di Svevia viene attribuita una frase meravigliosa: «Non invidio a Dio il Paradiso perché sono ben soddisfatto di vivere in Sicilia».
Come posso non condividere questo pensiero. La Sicilia è una regione indescrivibile che offre tantissimo. È terra di mare e di sole, di colline e pianure, di innovazioni e tradizioni. Ed è proprio tra le tradizioni che rientrano due formaggi DOP molto conosciuti e apprezzati: il Piacentinu Ennese e la Provola dei Nebrodi.
Piacentinu Ennese DOP
Il Piacentinu Ennese è un formaggio DOP dalle antiche origini a pasta dura di pecora siciliana, prodotto in nove comuni nell’omonima provincia di Enna.
Si dice che il nome “piacentinu” derivi dal termine “piacenti”, che in siciliano significa “ciò che piace”. Una leggenda afferma invece che il termine proviene da “piangentinu” che significa “piangente”, a causa delle lacrime di grasso che trasudano dalla forma.
È stato citato nel IV secolo d.C. dallo storico Gallo, il quale raccontava dei sistemi di salatura e dell’aggiunta dello zafferano per conferirgli il colore tipico. Il racconto più fantasioso che lo coinvolge chiama in causa Ruggero il Normanno che, intorno al 1090 d.C, ordinò di inventare un formaggio per combattere la depressione della moglie Adelasia. Difatti si utilizzò lo zafferano, considerata una spezia energizzante, antiossidante e antidepressiva.
La caratteristica distintiva di questo meraviglioso formaggio è l’aggiunta di zafferano (Crocus sativus) al latte prima della coagulazione, che gli conferisce quell’aroma e quel caratteristico colore giallo omogeneo più o meno intenso.
Il caglio utilizzato è quello in pasta di agnello o capretto ottenuto dai lattanti della zona di produzione.
Nella pasta del formaggio può essere incorporato pepe nero (Piper nigrum) in grani interi.
La salatura avviene a secco e la stagionatura minima è di 60 giorni dalla data di produzione.
Il Piacentinu Ennese nasce dalla lavorazione del latte intero di pecore autoctone siciliane di razza Comisana che rappresentano circa il 60% del totale dei capi allevati nel comprensorio di riferimento; è prodotto tradizionalmente con latte crudo, in cui si utilizza come coagulante il caglio in pasta, che si ottiene dalla macerazione dell’abomaso di giovani agnelli in salamoia salata e che viene inserito sempre all’interno di una tina e lavorato con utensili di legno.
Nel Piacentinu ennese la cagliata si cuoce a una temperatura di circa 45°C e poi si rompe per ridurne i granuli. Dopo essere stata rotta, viene tagliata in pezzi grossolani e sistemata, anche qui, in canestri di giunco dove sarà, salata a secco e lasciata riposare per almeno sessanta giorni. L’aggiunta di grani di pepe e soprattutto di zafferano dona al prodotto particolarità e ne caratterizza il sapore. Successivamente, si lascia maturare il formaggio sotto scotta (liquido che residua nella lavorazione del siero del latte) per 3-4 ore, dopo le quali si lascia riposare per una giornata intera.
Dopo circa una settimana si passa alla fase di salatura a secco, che viene praticata a mano su ciascuna forma. Per il mese successivo, il Piacentino Ennese viene continuamente rivoltato, in modo da spalmare il sale su tutti i suoi lati.
Provola dei Nebrodi DOP
La provola dei Nebrodi è un antico formaggio vaccino che deve il suo nome all’ampia zona in cui viene prodotta, che va dalla provincia di Catania a quella di Messina, passando per Enna. Conosciuta in passato anche come “Provula di Floresta”, per via delle sue origini legate a questo piccolo comune, il più alto dei Nebrodi e dell’intera Sicilia.
Questo formaggio viene prodotto dal mese di marzo a giugno e oggi è uno dei formaggi siciliani a denominazione di origine protetta.
Si presenta con una crosta liscia e lucida, di colore giallo paglierino il cui peso di ogni forma varia da di 1,2-1,5 kg.
Tale formaggio ha una caratteristica molto particolare: è l’unica provola siciliana sottoposta a stagionatura (di oltre 75 giorni) che la rende sapida e leggermente piccante. La Provola dei Nebrodi si produce seguendo un procedimento molto elaborato, che permette a questo tipico prodotto siciliano di ottenere la sua forma caratteristica, oltre all’inimitabile gusto. Il formaggio viene realizzato con latte ottenuto dalla mungitura serale delle vacche, principalmente vacche di razza autoctona Modicana alimentate al pascolo le cui diverse erbe donano un sapore tipico al prodotto finale. Il latte ottenuto viene filtrato e conservato in un serbatoio alla temperatura di 4°C.
Per produzione della Provola dei Nebrodi, come per tutte le DOP siciliane, è obbligatorio l’uso di attrezzature in legno, come la “tina”, la “ruotula” e il “piddiaturi”, in quanto donano al prodotto quale caratteristiche per il quale viene così tanto apprezzato.
Successivamente le provole vengono formate e poi salate per poi essere legate in coppia e poste a cavallo di un bastone di legno, la “pertica”, dove restano per un periodo non inferiore ai sei mesi. Gli ambienti di stagionatura, freschi e ventilati correlati alle condizioni climatiche delle aree montane dei Nebrodi, accompagnano la maturazione della Provola dei Nebrodi durante i diversi mesi di stagionatura, contribuendo a determinarne il profilo strutturale ed aromatico.
L’abilità e la saggezza dei casari hanno nel tempo generato varianti uniche della Provola dei Nebrodi; esistono, infatti, delle versioni molto particolari come quella con il limone verde o altri agrumi, che si differenziano dalla tradizionale per una variazione nella trafila di produzione. Per ottenere questo prodotto, durante la stagionatura, la Provola dei Nebrodi viene riempita con l’agrume intero, in modo da insaporire il formaggio.
Marianna Pipi