E LA CHIAMANO ESTATE
Era stata un’estate anomala, quella del 2016.
Un’immobilità forzata aveva costretto la famiglia a modificare radicalmente ritmi e abitudini.
Per due mesi buoni, addio alle passeggiate, alle cene fuori casa, al respirare cose che non appartenessero alle loro quattro mura.
Tre entità messe alla prova.
Max aveva dovuto sopportare il dolore e i tanti disagi derivanti dalla sua caviglia fratturata.
Scoramento, rabbia per le vacanze saltate, per le ripercussioni sul lavoro.
Poi, una sorda rassegnazione. L’accettazione del nuovo contesto. Andare avanti, nonostante tutto. Stringere i denti, e proseguire.
Per la piccola il disorientamento era stato forte. Perché il papà non si alzava più tanto presto la mattina per dedicarsi a lei? Perché trascorreva tutte quelle ore seduto sul sofà con la gamba sollevata sui cuscini? E soprattutto, perché camminava con quelle antipaticissime stampelle???
Niente più corse al parco, niente più sniffatine serali in giro per il quartiere… che noia!!!
E che dire di Dani? Dapprima semi-anestetizzata, aveva attraversato tutte le sfumature dell’avvilimento senza saltarne neanche una.
Più che per il carico di incombenze piombato dritto sulle sue spalle, a turbarla era la sensazione di essere stata in qualche modo defraudata, privata di un lasso di tempo che non sarebbe più tornato.
Dopo un luglio tormentato, agosto aveva portato la sua quiete alla triade.
I vicini erano emigrati verso destinazioni sufficientemente lontane dalle loro orecchie. E quindi, stop ai pianti continui dei due gemellini nella casa accanto, stop alla scopa elettrica di mezzanotte della dirimpettaia malata di pulito. Una temporanea tregua dagli schiamazzi condominiali per l’udito e per i nervi.
Per venti giorni, i tre avevano condiviso il divano a penisola per ore.
Avevano seguito le Olimpiadi immergendovisi completamente. Avevano scovato una nuova serie di telefilm su un canale satellitare, che aveva fatto loro compagnia in quelle serate afose. Erano stati appiccicati, accoccolati su comodi guanciali gialli, commentando i programmi televisivi, provando a non pensare ad altro. Il fragoroso sonnecchiare della lagottina era stato la colonna sonora di quei momenti pigri.
L’indolenza aveva preso il posto della demoralizzazione.
Dani aveva iniziato a osservare il circondario con un occhio più attento. Grazie al suo rimorchietto peloso, aveva stretto maggiormente i legami con gli abitanti del palazzo, con gli esercenti rionali, con altri proprietari di quadrupedi (lei però non si considerava la padrona di Lilli: ne era la mamma, punto e basta).
Accompagnare la sua belvetta a spasso – attività che inizialmente era solo un compito un po’ oneroso – era diventato un veicolo di scoperte e di sorprese.
Il segnale che il peggio era ormai alle spalle – almeno per quanto riguardava lei – era stato il riprendere a scrivere. Nel momento in cui le parole avevano iniziato a fluire dalle sue mani, oltre che dalla sua testa, aveva capito che la fiacchezza era finita.
Semplicemente, le erano tornati in mente i versi di John Lennon: Life is what happens to you while you’re busy making other plans.
Era pronta per un nuovo capitolo.