FORMAGGI DELLA PUGLIA
Il nostro giro caseario d’Italia a più voci Formaggio All’assaggio prosegue con Daniele Apruzzese, che ci racconta i formaggi della Puglia.
Giornalista e formatore, Daniele si occupa di enogastronomia per passione da oltre dieci anni. Prima il percorso nell’Associazione Italiana Sommelier, di cui oggi è relatore, poi l’avvicinamento al mondo dei formaggi grazie all’Onaf che lo ha portato a diventare Maestro Assaggiatore e docente.
Gli abbiamo chiesto quali sono le sue preferenze in tema di formaggi, ed ecco le sue risposte.
– Qual è il formaggio della tua zona al quale sei più legato per motivi sentimentali e perché?
«Emotivamente parlando, il formaggio del cuore è il Cacioricotta. Mia nonna materna, da bambino, la domenica quando si riuniva a pranzo tutta la famiglia, mi dava la formetta e la grattugia. Il mio compito era chiaro, la ricompensa sempre l’ultimo pezzettino, quello che non si riusciva più a grattugiare e che potevo mangiare».
– Quale formaggio preferisci mangiare “assoluto”? E quale preferisci usare nelle preparazioni gastronomiche?
«Sono un amante dei formaggi a 360 gradi, amo molto i sapori forti, ma il non plus ultra è la mozzarella: vaccina, bufalina, caprina non importa, purché sia di quelle tradizionali e artigianali (niente acidificazione diretta per intenderci).
Nelle preparazioni mi piace molto usare la stracciatella: sfilacci di mozzarella amalgamati con la panna fresca… il ripieno della burrata insomma. Morbida, vellutata, tendenzialmente dolce, è un vero comfort food».
FORMAGGI DELLA PUGLIA
di Daniele Apruzzese
La Puglia, tacco dello stivale, è una terra lunga e stretta. Da Lesina da Santa Maria di Leuca, in oltre 400 chilometri, si incontra un vero e proprio caleidoscopio colorato dal terreno, dal grano, dagli ulivi, dai vigneti, dai boschi e dai pascoli. In questa penisola nella penisola, da degustare necessariamente a tappe forzate, si incontrano odori e sapori alquanto diversificati.
Dal punto di vista caseario la Puglia è conosciuta nel mondo per la Burrata. Ma accanto a questa prelibatezza c’è una lunga serie di produzioni che si diversificano in base alla latitudine e all’altitudine.
Il tavoliere è la patria del Canestrato mentre nel cuore della regione, in un territorio che è collinare (la Murgia) nascono ottime mozzarelle. Ma tutto questo non è che un piccolo antipasto di quanto vi si può trovare attraverso una ricerca attenta e dettagliata fatta di incontri con i casari che quotidianamente portano avanti il proprio lavoro.
Per mettere un po’ d’ordine, si può provare a fare un piccolo viaggio di scoperta, che da nord a sud va ad analizzare quanto di buono questa terra ci mette a disposizione.
Il punto di partenza lo fissiamo sul Gargano. Siamo in provincia di Foggia, unica zona pugliese annessa al territorio di produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP. In quest’area, l’arte della lavorazione delle paste filate è antichissima e salendo attraverso strade strette, ricche di curve e tornati si arriva su di un promontorio: il Gargano. Questa è una vera terrazza naturale che si proietta sull’Adriatico, una terra “colonizzata” dalle podoliche, vacche decisamente poco produttive ma il cui latte vanta un profilo sensoriale unico.
Il Caciocavallo podolico del Gargano (PAT) dalla caratteristica forma a pera e dalla testa piccola e allungata. Formaggio dalla crosta sottile e lucida, è apprezzato al meglio dopo 8-10 mesi di stagionatura, quando tutte le caratteristiche di una pasta filata stagionata emergono tutte. Grasso, mediamente dolce e lievemente sapido, col tempo produce sentori olfattivi e aromi decisamente complessi. Lievemente piccante, ha una persistenza gustativa medio elevata.
Sempre nello stesso territorio (ma lo troviamo tradizionalmente anche in territorio murgiano e nel Salento) nasce il Cacioricotta (PAT). Quello tradizionale del Gargano è ottenuto da latte caprino, ma la produzione nel resto della regione è variegata e questo formaggio è ottenuto anche da solo latte vaccino (sapori e aromi più delicati e che incontrano maggiormente il gusto del grande pubblico) o misto. Chi lo ha creato, molti secoli fa, non ha avuto dubbi nel battezzarlo con questo nome, considerato che porta in sé il legame tra formaggio e ricotta, cosa che è alla base del suo sapore decisamente stuzzicante. La produzione, infatti, parte dal latte crudo che una volta veniva lasciato bollire per una decina di minuti, oggi viene portato a circa 90 °C per poco tempo. Questo passaggio fa sì che nel coagulo rimangano imprigionate anche le sieroproteine, la lattoglobulina in particolare, che è tipica della ricotta. Dopo il riscaldamento si porta la temperatura intorno ai 40 °C e vi si aggiunge il caglio. La pasta estratta dal siero viene posizionata nelle forme, la seguente salatura avviene a secco. Può essere mangiato fresco (colore bianco, struttura morbida e sapore tendenzialmente dolciastro) o leggermente stagionato (da grattugia): in questo caso il colore resta bianco, specie nei formaggi caprini, la struttura più asciutta e friabile.
Scendendo qualche chilometro più a sud, a dominare sono le pianure a perdita d’occhio. Il Tavoliere è la terra del grano, che in passato ha sempre accolto le greggi di pecore transumanti provenienti dalle montagne circostanti di Campania, Molise, Abruzzo e Basilicata. Cosa che ne ha fatto, oggi, terra del Canestrato pugliese (DOP). Questo pecorino deve il suo nome ai canestri di giunco in cui originariamente era messo in forma. Particolarità da segnalare è il trattamento con olio di oliva che le forme subiscono durante il periodo di maturazione. La pasta può essere caratterizzata da tonalità avorio o giallo paglierino scarico; è dura, friabile e presenta occhiature fini e distribuite regolarmente.
Continuando il viaggio, restando sulla più ampia pianura della regione, si arriva ad Andria, terra della Burrata (IGP), formaggio ormai noto e desiderato in tutti i continenti. Il prodotto, dalle numerose consistenze, non è altro che un sacchetto di pasta filata ripieno di panna e sfilacci di pasta filata. Più sarà fine la parte esterna e più saranno amalgamati gli sfilacci alla panna, tanto più gustoso sarà il morso. Morbida, succulenta, a tendenza dolce, si esprime in maniera fresca e delicata allo stesso tempo.
Spingendosi nell’entroterra, sulla direttrice che porta verso la Basilicata, si arriva a Gravina, patria del Pallone (PAT e presidio Slow Food). Prodotto con latte vaccino crudo, questo non è altro che un caciocavallo senza testa dalla caratteristica forma sferica. La stagionatura, che avviene in grotte di tufo, può essere breve, con prodotti immessi sul mercato entro i quattro mesi, o medio-lunga quando si va oltre i quattro mesi. La crosta si presenta dura (giallo paglierino o grigia per le muffe), la pasta ha una consistenza uniforme, è leggermente occhiata ed ha un colore giallo la cui intensità aumenta con il passare del tempo.
Il cammino prosegue raggiungendo il cuore della Puglia, Gioia del Colle (e i paesi limitrofi) in particolar modo territorio storicamente vocato alla produzione di mozzarella vaccina. La tradizione parla di latte crudo e sieroinnesto: da qui i sentori aciduli e di panna acida che in bocca trovano una esplosione equilibrata di sapori. La Mozzarella di Gioia del Colle sarà uno dei prossimi formaggi DOP pugliesi. Attualmente l’iter è bloccato a causa di un ricorso europeo presentato dalla Germania.
Scendendo ancora più a sud, spostandosi sul versante che degrada verso il mar Jonio, è possibile incontrare numerose masserie che lavorano il proprio latte. In tante di queste, quotidianamente, si produce la Giuncata (PAT). Storicamente, le famiglie contadine adagiavano la cagliata calda e appena estratta in cestini di giungo dai quali ha poi preso il nome questo formaggio fresco che si produce in ogni angolo della regione. Non vi è alcuna salatura, se non in maniera blanda quando il latte è ancora in caldaia, cosa che conferisce al formaggio una delicata tendenza dolce. Alla fine la struttura risulta compatta, dal forte sentore lattico, di panna ed erba fresca.
Il viaggio virtuale in terra pugliese si conclude in Salento dove è forte il legame con un prodotto di nicchia: la Ricotta forte (PAT). Questo è un latticino cremoso e poco compatto, dalla consistenza spalmabile, che si ottiene dalla maturazione e fermentazione della ricotta. Questa viene lasciata per circa 30 giorni in cella umida e fredda prima di essere salata e lasciata a stagionare per almeno 3 mesi prima di essere messa in commercio e consumata. Deve il suo nome, forte (ascuant, scant, squanta, scante, scanta, ascuante, squant nelle varie connotazioni dialettali), alla possente forza olfattiva e gustativa. È consumata da sola, spalmata su fette di pane bruscato o per arricchire alcuni piatti della tradizione gastronomica locale.
Daniele Apruzzese
Profilo Instagram: www.instagram.com/danapru/
Gli scatti sono di Daniele Apruzzese, salvo ove diversamente indicato.