I TÈ GIAPPONESI
In una domenica soleggiata di fine gennaio, dopo pranzo, non è inusuale per chi vive nelle zone costiere vedere frotte di persone affrettarsi verso il lungomare per non perdere gli ultimi tiepidi raggi di sole della giornata.
Quello che invece ho fatto io è stato dirigermi verso il treno che mi avrebbe portata a Napoli, con l’altrettanto luminosa prospettiva di passare un pomeriggio in buona compagnia a bere e parlare di tè.
Domenica 27 gennaio sono infatti tornata al Centro di Alimentazione Consapevole, situato in Vico San Pietro a Majella.
Si tratta di un centro dove si organizzano corsi dedicati ad aspetti diversi della cucina con un occhio alle loro componenti nutrizionali, e si trova in un passaggio tra Piazza Bellini ed il Conservatorio: peculiarmente, pur trovandosi immerso nella frenesia del centro storico, ha l’atmosfera appartata e quieta di un passage segreto parigino.
Ero lì perché il Centro ha nuovamente ospitato un incontro di approfondimento sui tè, stavolta giapponesi, guidato da Giuseppe Musella; esperto ed importatore, da anni è punto di riferimento partenopeo per una comunità di appassionati di tè che è sempre più folta.
Ho già partecipato a svariati incontri tenuti da Giuseppe, più recentemente a quello incentrato sui tè cinesi tenutosi sempre al Centro di Alimentazione Consapevole (e di cui ho già parlato qui), ma per questo incontro avevo uno spiccato interesse; i tè giapponesi sono qualcosa di molto vicino alla mia sensibilità ed alla mia esperienza di studiosa della cultura giapponese. Ed evidentemente non sono sola in questa fascinazione: il Giappone esercita da sempre un certo appeal su noi occidentali, infatti in sala c’era un nutrito gruppo di partecipanti.
L’approfondimento è stato sviluppato in modo che venissero discusse la storia e la modalità di produzione del tè in Giappone, insieme alla presentazione e degustazione di alcune delle tipologie di tè più prodotte.
In ordine crescente di prestigio: i verdi bancha, kukicha, genmaicha, sencha, gyokuro, ed infine due chicche di lunga storia e limitatissima produzione che stanno di recente guadagnandosi l’attenzione degli appassionati, il wulong giapponese ed il wakoucha, tè nero giapponese.
Più nello specifico, le foglie in degustazione sono state:
- Bancha Primaverile
- Kukicha di Sencha Primaverile
- Genmaicha
- Sencha Kawane
- Gyokuro Miyazaki
- Wulong Onnotya
- Wakoucha Mirai
Giuseppe è un esperto di tè a 360 gradi con una dichiarata predilezione per i tè cinesi, e anche la tecnica da lui preferita per l’infusione di questi tè è quella cinese con utensili cinesi.
Una delle cose belle del tè è che una volta padroneggiata la tecnica, una volta acquisite le conoscenze e la sensibilità necessaria a valorizzare le diverse tipologie, non c’è un metodo obbligatorio e imprescindibile a cui bisogna sottostare: Giuseppe ha infatti ritenuto che, secondo la sua esperienza e la propria preferenza, l’infusione in gaiwan a determinata ratio di acqua e foglie fosse la più adeguata ad ottenere quello che alla fine dei conti è risultato essere un ottimo liquore (il liquido che si ottiene dall’infusione delle foglie). La tecnica e gli utensili che potete vedere nelle foto scattate durante l’incontro sono quindi di tradizione cinese.
Io, d’altro canto, mi autodenuncio come appassionata di tè ed utensili nipponici; mi prendo quindi di seguito la libertà di rivendicare l’esistenza e l’efficacia degli utensili adoperati dai giapponesi, sviluppati nei secoli che questi ultimi hanno dedicato alla formazione di una cultura del tè autoctona.
Il tè, infatti, è arrivato alla corte degli imperatori giapponesi già nell’ottavo secolo dopo Cristo. La tradizione vuole che alcuni monaci, di ritorno dalla corte cinese della dinastia Tang, abbiano portato con sé le foglie che vennero inizialmente usate in decotti e riservate a riti religiosi dedicati all’élite imperiale; l’uso del tè nei successivi quattro secoli rimase comunque molto limitato anche a causa dei problematici rapporti tra la corte cinese e quella giapponese. Tutto cambiò quando nel tredicesimo secolo un altro monaco, il famoso Eisai, di ritorno da un viaggio nella Cina del Sud portò in Giappone piante e semi di tè che sarebbero stati piantati ad Heian (l’antica Kyoto) formando i primi giardini del tè giapponesi.
Ma Eisai non si limitò ad importare nuove piante e tecniche di coltura: portò con sé anche un nuovo aristocratico modo di bere il tè in uso alla raffinata corte dei Song Meridionali, che prevedeva le foglie venissero polverizzate e preparate in una sospensione d’acqua con un frullino di bambù. Questa usanza, che in Cina venne spazzata via dalle invasioni mongole che portarono al potere quel Kublai Khan reso famoso dalle cronache di Marco Polo, in Giappone trovò l’ambiente ideale per continuare ad evolversi: grazie ad Eisai ed ai successivi monaci zen che frequentarono nei secoli l’élite di corte e dei signori feudali, in Giappone verrà codificata e resa immortale nella tuttora florida cerimonia del tè o chanoyu, in cui il matcha è l’elemento principe.
L’infusione del tè in foglia, per secoli ancora legata all’antico consumo sotto forma di decotto da parte del popolo, nel diciassettesimo secolo acquisì una sua forma in contrapposizione al chanoyu come modo più informale di bere il tè. Fu allora che prese piede lo sviluppo degli attuali giardini del tè e delle cultivar studiate per ottenere le diverse varietà di foglie dedicate al mercato interno ed esterno. Oggi è elemento essenziale della vita quotidiana e dell’ospitalità, che come sempre amo paragonare al nostro pigliati nu café.
Come viene preparato, dunque, questo tè in foglia? Abitualmente gli utensili prediletti sono delle teiere peculiari ed immediatamente riconoscibili per il loro manico posto sul lato, le kyusu. La loro capacità è decisamente superiore a quella degli utensili cinesi, spaziando tra i 140 e i 400ml.
La ratio (il rapporto tra foglie e acqua) è diversa rispetto al metodo cinese, infatti generalmente parliamo di 5 grammi di foglie per 180-200ml di acqua a 65-80°C infusi per 30-60 secondi contro i 5 grammi per 100ml d’acqua a 70-80°C per 15-30 secondi di un tè verde cinese. Solitamente vengono utilizzati dei cucchiai di legno o di acciaio (sami) che aiutano a stabilire la quantità appropriata di tè da utilizzare.
La scelta della teiera cambia anche in funzione del tè che viene preparato: tenendo presente che i tè prediletti dai giapponesi sono variazioni sul tema del tè verde, ottenuti da diversi cultivar e variando alcuni aspetti della lavorazione, vanno da delicatissimi gyokuro ricchi di umami a più corposi ed aromatici genmaicha ottenuti dalla miscela di foglie di bancha o sencha con del profumato riso tostato; questi tè hanno un diverso prestigio che si riflette nella loro preparazione e negli utensili a loro dedicati.
Un pregiato gyokuro, un tè per le occasioni speciali e dal costo più alto, richiede una quantità di acqua minore a temperatura più bassa. Si preferiscono quindi teiere più piccole senza manico dette shiboridashi o houhin, ed il liquore ottenuto dall’infusione viene servito in tazzine (yunomi) di porcellana sottile particolarmente piccole. Questo perché essendo un tè di alta qualità viene considerato di buon gusto (e più economicamente sostenibile!) servirne poco per volta.
Un altrettanto pregiato sencha può essere infuso a sua volta in houhin o piccole kyusu, con yunomi in porcellana leggermente più grandi.
Bancha, kukicha, genmaicha ed altri tè come l’houjicha (bancha tostato) vengono considerati “tè informali” perché pur essendo ugualmente buoni il loro costo di produzione è inferiore: si tratta di raccolti considerati meno pregiati, oppure di tè prodotti con parti scartate dai tè più prestigiosi (come il kukicha, che è fatto dai rametti di sencha). Sempre molto apprezzati e bevuti quotidianamente, essendo più economici vengono infusi in quantità maggiori in kyusu più grandi o in grandi teiere dobin dal manico di bambù. Anche le tazze sono molto più grandi, di capienza che si avvicina a quella delle tazze occidentali, e sono generalmente in ceramica più corposa.
Infine, un utensile di fondamentale importanza nella preparazione tradizionale del tè in foglia: lo yuzamashi. Simile a una teiera kyusu senza coperchio, consente di gestire la temperatura dell’acqua in mancanza di un termometro ed evitare di strapazzare le foglie con acqua troppo calda. In sostanza, l’acqua viene versata prima nelle tazze, poi nello yuzamashi ed infine nella teiera: tenendo presente che ad ogni passaggio in un utensile freddo l’acqua perde 8-10 gradi, con questo metodo è molto semplice arrivare ai 70-80 gradi ideali per la preparazione di un tè verde giapponese.
Tornando con la mente al nostro passage napoletano in Vico San Pietro a Majella la sensazione che mi accompagna è sempre la stessa: quella di un posto dove succedono fatti belli assaje con gente bella assaje.