IL RITO DEL GONG FU CHA A NAPOLI
Diamo il benvenuto nel team All’assaggio alla nostra contributor Francesca Gallo, grande appassionata di tè.
Presso il Centro di Alimentazione Consapevole in Vico San Pietro a Majella si è tenuta, domenica 11 Novembre, una degustazione di tè cinesi selezionati da raccolti primaverili 2018 ed infusi in stile Gong Fu Cha.
A guidare l’esperienza Giuseppe Musella, esperto e pioniere nel settore con Qualcosa di tè, il primo negozio di tè a Napoli.
Questa, in parole semplici, è la notizia. Chi è già addentro al mondo del tè saprà di cosa si tratta; non dirà molto, temo, a coloro che non abbiano mai sentito parlare di Gong Fu Cha o che provano un po’ di soggezione nei confronti di qualcosa percepito così estraneo alla nostra cultura.
Capisco ma non condivido, ed è con appassionata indole conquistatrice che mi accingo a parlare di questo fatto bell assaje a cui ho partecipato.
Cos’è successo, dunque, in una stanza accogliente in quel centro della movida napoletana che è Piazza Bellini?
Persone di ogni livello di esperienza con il tè, attorno allo stesso tavolo, hanno potuto provare a preparare da sé il tè alla cinese con gli strumenti, la guida ed ovviamente i tè di gemma cinesi selezionati da Giuseppe, e precisamente:
-DaFo LongJing, tè verde dello Zhejiang
-Zhu Ye Qing, tè verde del Sichuan
-Bi Luo Chun, tè verde dello Jiangsu
-Huang Shan Mao Feng, tè verde dell’Anhui
-Meng Ding Huang Ya, tè giallo del Sichuan
-Dian Hong Jin Zhen, tè rosso dello Yunnan
-Dian Hong Jin Luo, tè rosso dello Yunnan.
Più che “degustato”, visto il clima piacevole creatosi, mi permetto di dire che si è sorchiato dalle tazze con gusto, attenzione e curiosità, ma si è anche scherzato sulle percezioni di tutti i presenti, il tutto mentre si imparava a conoscere la pianta nelle sue sfaccettature ed il modo migliore per farla esprimere in tazza. Ciò è stato possibile per la natura del tè, la natura del rito, e non ultima la natura di noi napoletani che offre grandi potenzialità in questo ambito.
Ma andiamo per ordine: cos’è il Gong Fu Cha?
Il Gong Fu Cha (工夫茶, gōngfūchá) si pratica in Cina da tempi remoti ed è inscindibilmente legato alla figura di Lu Yu, autore del celebre “Canone del tè”, la prima monografia sul tè della storia scritta nel 758 durante la dinastia Tang; l’importanza di Lu Yu nella cultura cinese è tale da essere considerato divinità protettrice della categoria. Il rito da lui descritto si è poi naturalmente evoluto nei secoli, mutando in varie forme a seconda del contesto e restando comunque sempre trasversale: dalla stanza dell’imperatore o del collezionista moderno, ricca di oggetti pregiati e tè di nicchia, a quella del contadino con l’acqua calda sempre pronta per un tè sciuè sciuè ma non meno importante, le foglie di tè sono onnipresenti.
Approssimativamente, data la natura complessa dei caratteri cinesi e la loro interpretazione, l’espressione Gong Fu Cha vuol dire “preparare con attenzione ed impegno il tè”.
Ci si siede insieme e si prepara una tazza di tè al meglio delle proprie possibilità, con grande cura del tè e dell’ospite; non necessariamente tutto questo si traduce nella rarefatta atmosfera cerimoniale più propria della tradizione nipponica. Cercando un’affinità con qualcosa di vicino al nostro sentire napoletano ed italiano, l’associazione più immediata è quella della preparazione del caffè: per noi napoletani è certamente una cosa seria al pari di un rito, una cortesia per l’ospite.
Venendo alla pratica, diversi strumenti sono necessari per preparare il tè in maniera più o meno articolata.
Il gaiwan, una tazza con piattino e coperchio (che simbolizzano rispettivamente l’uomo, il cielo e la terra), è solitamente in ceramica o porcellana e funge da teiera. In alternativa, si utilizzano delle teiere di dimensioni ridotte rispetto ai nostri standard e generalmente in creta porosa; quelle in creta yixing sono considerate di grande pregio.
Un secondo elemento fondamentale è il vassoio, anche definito “tavolo da tè”, caratterizzato da un ripiano a fessure e da un contenitore sottostante che raccoglie il liquido di scarto. Anche di questo elemento esistono svariate tipologie, dalle più ricche ed elaborate alle più semplici e “da battaglia”.
Un oggetto sicuramente pratico è il gongbei, o fair cup, una piccola brocca che consente di versare rapidamente l’infuso del tè ed in seguito distribuirlo uniformemente nelle tazzine.
Ci sono poi i vari strumenti in legno utilizzati per gestire le foglie e le tazzine durante la preparazione. Ultime ma non meno importanti le tazzine, che dopo le teiere sono uno degli elementi che più mi diverte mostrare ai neofiti; se guadagnassi ogni volta che qualcuno ha commentato ad occhi sgranati “La tazza è questa? Ma è per le bambole!” sarei molto, molto ricca. Sono così fatte anche e soprattutto per essere pratiche: contenendo una piccola quantità di liquido, consentono di raffreddarlo rapidamente e di gustarlo con attenzione.
Il motivo di queste inusuali dimensioni “da bambola” è presto detto: il tè nel Gong Fu Cha ha una proporzione di foglie ed acqua molto diverso da quello occidentale. Se per fare un tè “all’occidentale” serviranno circa due grammi per tazza da 250ml, nel Gong Fu Cha i grammi salgono a circa 8 grammi per soli 120ml, ripartiti poi in tazzine da circa 25ml. La differenza sostanziale sta nel fatto che mentre il tè all’occidentale è per forza di cose più blando, il tè alla cinese è più concentrato e può (deve!) essere rapidamente infuso usando le stesse foglie da tre a quindici volte, a seconda della tipologia che viene impiegata.
Ripartire in tante infusioni diverse non aiuta solo ad ottenere un liquore più concentrato, consente anche di scoprire il gusto del tè lentamente ed in maniera molto più selettiva. Ogni infusione permette infatti al tè di svelare un suo aspetto diverso, rilascia elementi che nella tazzina precedente non si erano ritrovati, ed altri se ne troveranno nella tazzina successiva.
Sul Gong Fu Cha, e sul tè, ci sarebbe tanto ancora da dire: la qualità dell’acqua e la sua temperatura, la pianta del tè nella sua sterminata varietà di cultivar e lavorazioni in tutta l’Asia (e, di recente, anche in altri continenti), i diversi approcci alle tecniche di infusione, la grande varietà di strumenti e ceramiche da esplorare e, naturalmente, l’impatto che il tè ha sulle arti e sulla filosofia.
Tutto questo può essere ricercato online e tra molti ottimi libri, naturalmente, ma un approccio simile è solo una piccola e relativa parte di un’esperienza piena dove invece si annusa, si beve, ci si gode una buona tazza ed in tempo reale ci si confronta, si chiede direttamente a chi ha più esperienza.
Ed ecco che torniamo all’incontro di domenica.
Poter parlare di tè al di fuori del mondo virtuale fatto di gruppi, forum ed Instagram (con il quale ormai ho un rapporto di amore/odio), poterne discutere con persone in carne ed ossa realmente o potenzialmente interessate e non occasionali ascoltatori recalcitranti pescati tra i propri conoscenti, è qualcosa di liberatorio. Bellissimo. Rinfrancante. L’idea di avere un’occasione di condivisione, di incontro e semplicemente bere una tazza di tè con persone affini è preziosa.
Il motivo per cui credo che Napoli abbia un immenso potenziale nell’adottare questa bevanda, insieme alla sua preparazione, è molto semplice: noi siamo sempre stati ben disposti, dietro una facciata di blanda resistenza reazionaria, ad abbracciare nuovi usi, nuovi cibi, nuove spezie e nuove culture ed aggiungerci qualcosa di nostro. Tu vuò fa l’Americano, la musica di Pino Daniele e tutta la scena jazz e blues Napoletana, il caffè, la salsa di pomodoro, ‘o babbà, hanno in comune una cosa: sono tutti la testimonianza della natura curiosa e piena di fascinazione verso l’altro del popolo partenopeo che ad un certo punto si è manifestata e ne ha fatto storia.
È un discorso che vale per tutta l’Italia, ma a Napoli un po’ di più: solo noi ci troviamo attorno a un tavolo a preparare e bere tè con degli sconosciuti che in un battito di ciglia ti sembrano già cchiù cumpagn.
Pigliammece nu tè!