FORMAGGI DEL PIEMONTE
Diamo il via al progetto Formaggio All’assaggio con la prima cheese storyteller, Alice Sattanino, Maestro Assaggiatore Onaf di Asti, che ci racconta i formaggi del Piemonte.
Alice ed io ci siamo conosciute in occasione del concorso Miglior Assaggiatore dell’anno Onaf 2019 e da allora siamo sempre rimaste in contatto attraverso i social.
Le abbiamo chiesto quali sono le sue preferenze in tema di formaggi, ed ecco cosa ci ha risposto.
– Qual è il formaggio della tua zona al quale sei più legata per motivi sentimentali e perché?
«Il formaggio che preferisco del Piemonte è la toma d’la paja, cioè la toma paglierina. È una tometta di latte vaccino di 2-3 etti stagionata nella paglia, che in pochissimi giorni diventa morbida e cremosa come i formaggi francesi che amo tanto.
Le sono molto legata perché siamo carissimi amici di Occelli e ogni volta che ci vediamo lui si ricorda di quanto io la ami e me ne regala sempre un paio. È l’affetto che quel gesto trasmette che mi fa stare bene e mi fa amare ancora di più questo formaggio».
– Quale formaggio preferisci mangiare “assoluto”? E quale preferisci usare nelle preparazioni gastronomiche?
«Per il formaggio che preferisco usare in cucina, vado diretta sul formaggio che non manca mai nel mio frigo, il taleggio! È un formaggio molto versatile, buono da mangiare ma ottimo alleato nelle ricette, si presta ad essere fuso, per fare delle creme molto lisce, e anche per un buon soufflé di formaggi. Mia figlia lo adora nei toast e sulla pizza!
Invece come formaggio “assoluto” nomino il Piave stravecchio, un altro formaggio vaccino, che deve avere almeno 18 mesi di stagionatura, e si mangia a scaglie come il Parmigiano Reggiano. Ha la peculiarità di non diventare mai piccante, nemmeno nelle stagionature più lunghe, rimanendo sempre dolce e acquisendo sentori fruttati molto intensi».
FORMAGGI DEL PIEMONTE
di Alice Sattanino
I formaggi del Piemonte sono quasi impossibili da contare. Questo dipende anche dalla vicinanza fisica e culturale con i nostri cugini francesi. Basti pensare al formaggio francese Reblochon, e al suo meno conosciuto alter ego piemontese, originario della Val di Susa, il Rebluson.
Entrambi i nomi derivano dal francese “reblocher”, cioè rimungere, dall’usanze degli allevatori di mungere solo parzialmente le vacche in presenza del padrone, per poi ri-mungerle in un secondo momento per farne del formaggio per sé. Zone diverse, abitudini simili. Proprio per questo pensare alle DOP in Piemonte, più che ne in altre regioni, sarebbe decisamente riduttivo. Le nostre valli, colline e montagne ospitano animali da latte di ogni tipo, dal vaccino, all’ovino-carpino, alla bufala fino anche all’asina. Non tutti diventano formaggi, ovviamente, ma la diversità interna del nostro clima e ambiente permette di diversificare.
Parlando prettamente di DOP, in Piemonte ce ne sono 7 “piemontesi” e 3 interregionali, che sono il Taleggio, il Grana Padano e il Gorgonzola.
Le DOP rispecchiano la nostra grande varietà, e sono:
- Bra DOP (latte vaccino con piccole aggiunte di latte ovino e/o caprino)
- Castelmagno DOP (latte vaccino)
- Murazzano DOP (latte ovino e vaccino, max 40%)
- Ossolano DOP (latte vaccino)
- Raschera DOP (latte vaccino con piccole aggiunte di latte ovino e/o caprino, anche se si trova quasi sempre di latte 100% vaccino)
- Robiola di Roccaverano DOP (da disciplinare 3 latti: ovino, caprino e vaccino, anche se si tende a produrre senza latte vaccino)
- Toma piemontese DOP (latte vaccino)
Per descrivere la ricchezza della mia tavola piemontese vi parlerò di due di queste DOP, che hanno in comune la provenienza da un piccolissimo borgo, ma che vivono due realtà di mercato completamente opposte, il Castelmagno e la Robiola di Roccaverano.
Castelmagno è un paesino montano in cima alla Valle Grana, nel cuneese che conta una sessantina di abitanti. Il grosso centro abitato degno di questo nome più vicino è a circa 40 minuti di macchina in mezzo al nulla.
Il Castelmagno DOP rientra nella categoria degli erborinati naturali, e la leggenda vuole che Carlo Magno ne fosse ghiotto, e da questo deriverebbe il suo nome.
La qualità di questo antichissimo formaggio risiede dalla sua storia e dalla filiera cortissima per produrlo. È un formaggio a pasta semidura, pressata, con una tecnologia produttiva molto particolare. Il latte crudo viene portato a una temperatura di circa 37-38 gradi, e viene aggiunto caglio liquido. Dopo la coagulazione e la rottura della cagliata, si lascia riposare il tutto per 35 minuti, quindi viene raccolto in un telo (detto “risola”), pressato leggermente con le mani e appeso per circa 12 ore a sgocciolare. Dopo queste operazioni, la massa viene depositata in un recipiente di legno e si lascia riposare da 2 a 5 giorni. In seguito viene rimescolata, pressata altri 10 minuti e alla fine riposta nelle fascere dove viene pressata con torchio per 1-3 giorni. La salatura si effettua a secco sulle forme, una volta liberate le forme dalle fascere, durante circa 48 ore. Proprio il reimpasto della cagliata fa sì che vengano inglobate delle muffe buone che portano poi all’erborinatura. Una forma di Castelmagno può essere erborinata, ma non c’è garanzia che lo sia, dato che non vengono aggiunte muffe, come invece avviene per il Gorgonzola.
La stagionatura è di minimo 2 mesi, in grotte naturali, ma si può arrivare anche a forme stagionate di un anno; la stagionatura media che si trova in vendita è intorno ai 4/6 mesi.
La Robiola di Roccaverano nasce nell’omonima paese, nell’astigiano, a cavallo con la provincia di Alessandria, sulle alture che poi scendono verso la Liguria e il mare. Nota importante questa, perché il “marin”, l’aria salmastra che giunge dal mare, influisce molto sulle erbe spontanee che crescono qui e di cui si cibano le capre. Le capre di razza Roccaverano, che da disciplinare, insieme alle camosciate delle Alpi, sono le uniche ammesse per la produzione del latte destinato alla robiola. La robiola è una forma di formaggio tipica delle nostre zone, anche detta semplicemente formaggetta, perché è un formaggio piccolo, di circa 200 grammi, di forma cilindrica, alto circa 4/5 cm. Il termine robiola deriva da rubeolus, cioè “rossiccio” per il colore che assumevano una volta esternamente questi formaggi.
È un formaggio a pasta molle, con coagulazione acido-presamica, che significa che il latte crudo, addizionato con innesto naturale, viene lasciato acidificare. Durante l’operazione si aggiunge una piccolissima dose di caglio di vitello (coagulazione presamica), dopo di che la miscela sosta fino a coagulazione acida (lattica) raggiunta. La cagliata è pronta allo spurgo in 24-36 ore, dopo le quali viene posta, senza alcuna rottura, in fuscelle, che favoriscono lo spurgo e la formatura.
La salatura è a secco, e la stagionatura va da un minimo di 4 a circa 12-15 giorni per il prodotto affinato.
Il Piemonte ha tanto da offrire in termini di formaggio, non posso certo dire di aver dato un’idea completa, ma spero di aver messo voglia a qualcuno di cercare i nostri formaggi, per assaggiarli e saperne di più.
Il Castelmagno è un formaggio blasonato ed è relativamente semplice da reperire nelle formaggerie ben rifornite, è un formaggio di pregio e costoso, anche per la sua metodologia produttiva.
La Robiola di Roccaverano è quasi impossibile da trovare fuori dai confini regionali, escludendo Milano dove sappiamo si trova praticamente tutto!
Se però vogliamo trovare un lato positivo in questa quarantena, sappiate che il consorzio della Robiola di Roccaverano si è attivato per spedire in tutta Italia, direttamente ai consumatori, quindi potrebbe essere una buona occasione per provare una perla nascosta del Piemonte.
Consorzio dei Produttori della Robiola di Roccaverano DOP
http://www.robioladiroccaverano.com/produttori.html
Il blog di Alice Sattanino, Tutto il cacio minuto per minuto