FORMAGGI DELLE MARCHE
Continuiamo il nostro giro caseario d’Italia Formaggio All’assaggio con la cheese storyteller Giulia Cestari, che ci racconta i formaggi delle Marche.
Giulia ha 23 anni, è nata e cresciuta nell’alto Piemonte, poi trapiantata nelle Marche per via degli studi e rimastaci perché incantata da questa regione. Laureata in Biologia della Nutrizione, negli anni ha compreso di essere attratta dal settore lattiero caseario.
Gestisce la pagina LatteBianco su Instagram e su Facebook.
Le abbiamo chiesto quali sono le sue preferenze in tema di formaggi, ed ecco le sue risposte.
– Qual è il formaggio della tua zona al quale sei più legata per motivi sentimentali e perché?
«Vivendo nel sud delle Marche non può che essere il pecorino. Sapete come vengono chiamati gli abitanti di Ascoli Piceno da chi vive sul litorale? “Pecorari”, dovrebbe essere un’offesa, sicuramente un tempo lo era, ma personalmente lo trovo uno dei mestieri più affascinanti che ci sia.
Nel cuore avrò sempre il formaggio fritto, caldi tocchetti di pecorino semi-stagionato impanato. Adoro gustarmeli con una birra fresca nelle sere estive o con un calice di vino seduta al tavolo di qualche agriturismo sulle colline, ma rigorosamente in compagnia del mio ragazzo che mi ha fatto scoprire questa preparazione gastronomica».
– Quale formaggio preferisci mangiare “assoluto”? E quale preferisci usare nelle preparazioni gastronomiche?
«Il formaggio che preferisco mangiare “assoluto” qui è sicuramente il pecorino stagionato oltre l’anno. È incredibile l’aromaticità che riesce ad esprimere con avanzare della maturazione. Diventa un formaggio da meditazione, assolutamente da provare abbinato a del vino cotto.
In cucina invece mi piace molto utilizzare la caciotta vaccina o mista quando voglio preparare una pietanza con del formaggio fuso. Un’accoppiata vincente per me è la cicoria ripassata con una buona caciotta mista».
Formaggi delle Marche
di Giulia Cestari
I formaggi delle Marche vantano una tradizione antichissima, grazie alle zone collinari e montane ricche di pascoli che favoriscono la produzione del latte.
Se una cosa l’ho imparata vivendo qui è che i marchigiani sono molto legati alla tradizione, al territorio, alle origini, alla storia, ma soprattutto ai propri prodotti, quindi questi sono, questi rimangono e questi voglio farvi conoscere.
Partiamo da due prodotti riconosciuti propri di questa regione anche a livello legislativo in virtù dell’assegnazione di DOP.
Parliamo della Casciotta d’Urbino, già gustata da Michelangelo Buonarroti nel ‘500, riconosciuta DO nel 1982, poi DOP nel 1996.
La Casciotta di Urbino è un formaggio a pasta semicotta prodotto con latte ovino (80%) e latte vaccino (20%), dal colore bianco paglierino e crosta sottile di colore giallo paglierino che si intensifica con la maturazione. Il sapore è decisamente dolce. È ottenuta attraverso l’utilizzo di caglio d’agnello, la salatura è manuale, la stagionatura dura circa 30-45 giorni.
Talvolta viene rivestita con foglie di noci e fatta maturare in piccole botti tra fieno e foglie di castagno: in questo modo si arricchisce di particolari sentori erbacei.
Quando invece viene interrata nelle fosse di Talamello alla fine di agosto per poi rivedere la luce a fine novembre, la Casciotta di Urbino rappresenta la base per il formaggio di fossa di Talamello.
Stagionatura in fossa anche per l’altra DOP che troviamo in territorio marchigiano.
Il Formaggio di fossa di Sogliano è un prodotto caseario storico degli Appennini dell’Emilia Romagna e delle Marche. Nel medioevo i Malatesta nascondevano i prodotti, passibili di razzie, in fosse scavate nella roccia.
Ancora oggi il formaggio è fatto stagionare secondo la tradizione in fosse a forma di fiasco scavate nell’arenaria per una profondità di circa tre metri. Le fosse sono dotate di un particolare microclima, devono avere almeno dieci anni affinché si formino le colonie batteriche che doneranno al formaggio le peculiarità che lo contraddistinguono. Prima di contenere i formaggi, le fosse vengono preparate bruciandovi della paglia all’interno. Poi, sempre con la paglia, sorretta da canne, vengono rivestite le pareti, mentre sul fondo vengono poste delle assi di legno.
Prima di essere infossate, le forme vengono pulite e messe in sacchetti di cotone, sui quali sono riportati il numero di protocollo, il peso e il nome del proprietario, affinché sia possibile il riconoscimento. Le fosse vengono riempite, chiuse con un coperchio di legno e sigillate con il gesso. Il formaggio resta sotto terra per un periodo che va da 80 a 100 giorni, durante i quali perde peso, ma acquista il caratteristico aroma che lo rende un alimento unico. I formaggi rivedono la luce per la festa di Santa Caterina, il 25 novembre.
Il formaggio di partenza è prodotto con latte di vacca, pecora o misto lavorato entro le 48 ore dalla prima mungitura.
Se volessimo semplificare al massimo l’offerta casearia marchigiana potremmo dire che i prodotti si dividono in caciotte, pecorini e “gli altri”, ma sarebbe un’approssimazione piuttosto triste.
Le caciotte marchigiane sono solitamente a latte vaccino eventualmente addizionato con latte caprino o ovino. Vengono spesso arricchite con ingredienti particolari come pepe, peperoncino, noci, limone, zafferano, birra.
Tra le varie, la Caciotta del Montefeltro viene prodotta nel comune di Urbino con latte crudo vaccino o aggiunta di latte ovino e/o caprino. Questo formaggio viene stagionato per un periodo variabile da due a sei mesi. Nella stessa zona si usa anche stagionare le caciotte (per almeno 40 giorni) in botti di legno, cassettoni di legno, bigonce, mastelli o anfore di terracotta, conciate con foglie di noce a strati. La crosta è di color avorio scuro, la pasta è compatta, con rare fessurazioni.
La Caciotta del Fermano invece viene di solito fatta stagionare meno, la pasta risulta più occhiata e il sapore più dolce acidulo.
Passiamo ora ad alcune delle varie tipologie di pecorino marchigiano.
Il Pecorino Marchigiano, così come la caciotta, è riconosciuto Prodotto Agroalimentare Tradizionale. Prodotto a partire da latte ovino, la salatura è a secco e la stagionatura dura da 20 giorni fino a oltre un anno.
Il Pecorino dei Monti Sibillini (AP) veniva tradizionalmente preparato esclusivamente dalle donne, soprattutto l’approntamento del caglio, ricavato da particolari prese d’erbe aromatiche. Stagiona fino a due anni.
Il Pecorino di Monte Rinaldo viene prodotto nell’omonimo comprensorio del Monte Rinaldo da ottobre fino ad aprile. In questo caso la stagionatura varia dai 5 mesi ai due anni, periodo durante il quale le forme vengono unte con olio d’oliva.
Particolare formaggio a latte ovino è poi il Cacio a forma di limone, risalente all’epoca medievale e presente nella lista delle vivande di Bartolomeo Scapi, cuoco alla corte papale nel XVI secolo. Si produce nella Valle del Metauro da aprile a settembre. La massa ottenuta dalla coagulazione di latte ovino crudo viene messa in stampi di terracotta forati a forma di limone. Si effettua quindi la salatura a secco con poco sale mischiato a buccia di limone grattugiata. Eliminato il sale in eccesso, le forme vengono spennellate con acqua e farina per farvi aderire scorze di limone. La stagionatura dura 4-10 giorni.
Fra i formaggi delle Marche degni di nota ci sono quelli della categoria “gli altri”.
Lo Slattato è un formaggio vaccino prodotto a partire da latte appena munto. Dopo la coagulazione, la formatura e la salatura, le forme vengono passate nel siero caldo a 95º, avvolte nel cotone e lasciate maturare da 7 a 20 giorni. Si ottiene così un formaggio dalla crosta morbida color panna, pasta morbida, occhiatura fine, sapore dolce.
Il Casècc di Montefeltro è prodotto da ottobre a marzo a partire da latte vaccino e/o ovino. Dopo la salatura a secco, per i primi dieci giorni le forme vengono lavate a giorni alterni, rivoltate quotidianamente e lasciate asciugare su un ripiano di legno. Per i successivi otto giorni le forme vengono lasciate su foglie di noce con le quali saranno avvolte per la stagionatura, fino a un anno, in orci di terracotta. Ne risulta un formaggio dal sapore deciso, pastoso, gradevolmente aromatizzato.
Sempre nella zona del Montefeltro, da ottobre ad aprile, si produce il Raviggiolo. Si tratta di un formaggio fresco, dal sapore delicato. La cagliata ottenuta da latte vaccino o caprino non viene rotta, ma raccolta in piccole quantità con un mestolo e fatta scolare su stuoie o su foglie di felce, fico o cavolo.
Ad Urbino viene prodotto il Quark. Il latte caprino o misto caprino-ovino viene lavorato attraverso una coagulazione acida. Il prodotto ottenuto è solitamente consumato fresco, talvolta addizionato con erba cipollina o rucola; qualche volta viene lasciato stagionare.
LatteBianco su Facebook www.facebook.com/lattebiancobianco/
LatteBianco su Instagram www.instagram.com/_lattebianco_/
Gli scatti sono di Giulia Cestari, salvo ove diversamente indicato.